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lunedì 10 gennaio 2011

I sogni di una vita

me and my nonno!
Crescevo, da piccola, amata, felice, protetta da tutto e da tutti. Una vita normale per una bambina normale. Senza fratellini, un’amica del cuore, i genitori, una nonna e un nonno, grande, alto, generoso, dolcissimo. Crescevo anche con lui, andavamo a fare le corse in bicicletta, restavo con lui nelle giornate di sole, di pioggia e di vento, d’estate e d’inverno a giocare in cortile, a correre con il cane nell’orto, ad aiutare la nonna a pulire i fagioli per la minestra. Poi c’era il pranzo, un momento di serenità in cui arrivava papà ed io, tornata da scuola, assieme a tavola, mangiavo, la minestra, i piselli in padella che non mi piacevano e gettavo sotto il tavolo, di nascosto, ma ce n’erano tanti e non finivano mai e la nonna mi diceva “guarda che fanno bene” e poi quella bottiglia sopra la tovaglia, oddio, il vino….”che puzza” pensavo, no, lasciamolo ai grandi il vino. Sulla mia tavola non mi piaceva vedere quella bottiglia e soprattutto non ne apprezzavo il profumo che dal calice si propagava in tutta la stanza. Detestavo da morire il fatto che poi, finito di pranzare, toccava a me sparecchiare. Era un vino profumato di vita, un vino che mi sembrava da intenditori perché io non lo capivo, era ciò che i grandi bevevano a tavola, tra un piatto di minestra, la bistecca di maiale e i piselli in padella per condividere un pasto, per gioire, per sognare forse del domani.
Ma io dovevo sparecchiare la tavola e quel vino mi riportava alla realtà.
Era quasi un gioco di precisione, attenta a raccogliere prima i piatti, le posate, il pane avanzato, addirittura le briciole, la padella dei piselli, che non mi piaceva, ma era meglio che raccogliere i bicchieri e la bottiglia da rimettere nell’armadio. Quei bicchieri profumavano di vino, un profumo quasi dolce e naturale perché era bello veder tornare a casa papà, stare con lui, mangiare ogni tanto sulle sue ginocchia o su quelle del nonno, che amavo e che però voleva bere sempre un bicchiere di vino a tavola. E alla fine, con la tovaglia, i bicchieri e la bottiglia ancora sul tavolo, fingendo di aver finito, sgattaiolavo in salotto per ascoltare assieme a papà il tg, ma il nonno mi guardava e la nonna mi diceva “sicura che hai finito?” e io “si nonna, e poi dài, adesso c’è il telegiornale, fammi ascoltare”….avevo 6 anni!
Il nonno era dolce e sensibile e aveva capito benissimo il mio imbarazzo di fronte a quella tavola da sparecchiare  con la bottiglia di vino e i calici sporchi da portare nel lavandino….eppure furbo, furbo, insisteva dicendo “portami ancora un goccetto di quel buon vino”…Non ce la facevo più, lo faceva apposta…ogni volta, sempre alla stessa ora a pranzo, dopo la minestra, dopo i piselli in padella, mentre la nonna mi diceva di rimettere a posto il formaggio. Ed io, esausta, dopo l’ennesimo rifiuto andato a vuoto, un pò sconsolata, mio malgrado andavo a prendere la bottiglia dall’armadio e versavo al nonno, trattenendo il respiro, un goccio di quel buon vino.
Bizzarro che il nonno, divertito da quelle smorfie e quelle facce imbronciate, dopo che gli avevo versato il goccio di quel buon vino, sempre, sempre mi ricordava “cara, cara la mia Federica, ma tu lo sai che da grande ti sposerai con uno che il vino addirittura lo fa, non solo se lo beve come me?”

Poi ho iniziato a sognare, avevo 15 anni, romantica, allegra, i sogni di una ragazzina che voleva vivere, alla grande, facendo cose importanti. Sognavo di viaggiare per conoscere il mondo, sognavo di incontrare persone che mi insegnassero, che mi mostrassero i loro paesi, le loro città, mi vedevo sempre su un’aereo al decollo per andare lontano, lontano a capire il senso della vita.




Ho 18 anni adesso e un giovane, alto, bruno, dallo sguardo profondo mi guarda, mi saluta e poi romba via lontano con la sua moto. La mia amica, anche lei mi guarda e mi dice “ehi, l’hai visto?
Si, l’avevo notato quel ragazzo e quel suo sguardo e il nonno aveva ragione.
Quel ragazzo e quel suo sguardo severo nascondevano una vigna e grandi vini in un angolo non troppo lontano ahime, come sognavo, ad Est del Friuli.

Ho 26 anni adesso e la gioia nel cuore, un piccolo corpicino indifeso sta crescendo dentro di me, è poesia, è emozione, è la dolcezza che ti travolge e ti appaga, piangi ed è una piccola minuscola vita che abbiamo donato al mondo, assieme. E poi la gioia si ripete ed a 31 anni eccomi con tre piccole perle lucenti, con i loro sorrisi, le loro ansie di bambini, le loro insistenze di piccoli cuccioli irrequieti e felici di scoprire il mondo.

Da quell’istante altri 10 anni sono passati ed io, quella piccola bambina felice con il ricordo di un nonno divertito e dispettoso, sono qui, senza i viaggi lontani per scoprire il senso delle cose, ma con loro, con i miei bambini e con un uomo, con il mio grande sogno quello vero finalmente, quello che si è realizzato ed è dentro di me, la mia vita.

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